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venerdì 18 novembre 2011
Il campione di Dio (parte prima)
Senza entrare nel dettaglio di quella che potrebbe essere soltanto una mera operazione commerciale, mi sono però interrogato su quale potesse essere l’identikit del possibile campione per Nostro Signore, alquanto diversa, con tutto il rispetto, del succitato Ibra.
Qualche settimana fa, io e mia moglie Cristina abbiamo partecipato ad una serata di lode presso una chiesa evangelica di Milano, dato che suonava un musicista nostro amico; abbiamo così assistito, dopo il momento musicale, al sermone del pastore tutto incentrato sulla figura del patriarca Giuseppe, da lui ribattezzato appunto: “Il campione di Dio”
Giuseppe era il figlio prediletto di Giacobbe, ragion per cui era odiato dai fratelli; inoltre, aspetto fondamentale, aveva una visione, un disegno divino da realizzare, un alto ideale da perseguire non comprensibile a lui stesso nella totalità, figuriamoci per gli altri.
Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai fratelli, che lo odiarono ancor di più. Disse dunque loro: «Ascoltate il sogno che ho fatto. Noi stavamo legando covoni in mezzo alla campagna, quand’ecco il mio covone si alzò e restò diritto e i vostri covoni vennero intorno e si prostrarono davanti al mio». (Genesi 37:5-7)
Il “volare alto” mantenendo intatto uno spirito impavido e coerente, attira indubbiamente l’invidia, se non l’odio, di coloro che si uniformano ai miseri obiettivi che il mondo ci propone, fino a ghettizzare o prevaricare chi, per il coraggio dimostrato, si distingue dalla massa.
Appena Giuseppe fu arrivato dai suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica lunga, tessuta di diversi colori, poi lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz’acqua. Poi sedettero per prendere cibo. [...] Passarono alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento lo vendettero agli Ismaeliti. (Genesi 37:23-24,28)
Così i suoi fratelli si mettono a tavola, comodi, per cibarsi, insensibili alle grida come ebbri dei piaceri del mondo che anestetizzano la nostra sensibilità; ed addirittura, dopo la ritorsione e l’isolamento, pensano bene di trarre vantaggio dalla situazione vendendolo ai mercanti. Quante volte anche ci lasciamo trasportare dalla brama dell’affermazione personale e non ci facciamo scrupoli nel denigrare il nostro “rivale” vendendone la reputazione con la maldicenza, giusto per spuntarla, ad esempio, in una competizione professionale?
Giuseppe fu condotto in Egitto e Potifar, consigliere del faraone e comandante delle guardie, un Egiziano, lo acquistò da quegli Ismaeliti che l’avevano condotto laggiù. Allora il Signore fu con Giuseppe: a lui tutto riusciva bene e rimase nella casa dell’Egiziano, suo padrone. Il suo padrone si accorse che il Signore era con lui e che quanto egli intraprendeva il Signore faceva riuscire nelle sue mani. Così Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e divenne suo servitore personale. (Genesi 3:1-4)
Sebbene continuino le condizioni avverse che farebbero pensare ad una divergenza rispetto al progetto divino, Giuseppe continua nella perseveranza e nella fiducia nel Signore, ed il Signore lo ripaga restando con lui. E, se “il Signore è con noi”, chi potrà farci paura? Aspetto non secondario: anche gli altri si accorgono di ciò!
Spesso ci scoraggiamo di fronte ad eventi negativi che si abbattono sulla nostra vita, e siamo tentati dal mollare le redini per procedere stancamente senza meta: il suggerimento è quello di restare col Signore anche nei momenti bui, impostando la nostra esistenza non per sopravvivere, ma per vivere sopra la mediocrità e il lassismo figlio del nostro tempo, all’insegna del motto calcistico: “Prima non prenderle”
Solo chi ha grandi ideali e continua a perseguirli con coerenza e coraggio può lasciare un segno significativo nella storia (Chiara Amirante)
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